Articolo: "Con figli e lavoro ci vuole passione"

     

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CON FIGLI E LAVORO CI VUOLE PASSIONE

Il papà che ama la sua occupazione offre un ottimo modello educativo

"Caro papi mi spiace se il lavoro ti assilla e non passi mai un po' di tempo con noi, ma sappi che nonostante tutto sei il papà più 'bello' del mondo": questa frase apre la lista degli sms che un sito web specializzato suggerisce di inviare il 19 marzo, per la festa del papà. Ed effettivamente la figura "assente ingiustificato" dalla famiglia a causa dei suoi gravosi impegni lavorativi non è stata intaccata dal cambiamento dell'immagine e dell'identità paterna. Pure in presenza di leggi che favoriscono, anche su questo piano, l'equivalenza delle due figure parentali. Gli uomini, dicono i sondaggi, non usufruiscono che in minima parte (3,6 per cento nel Triveneto contro i 2,7 della media nazionale) del congedo parentale. Ancora più raro il ricorso al part time, anche temporaneo, per l'accudimento dei figli. Dopo 9-12 ore di assenza quotidiana da casa, dopo la fatica di un'attività spesso stressante e competitiva, che spazi restano al papà per fare il genitore? E, più in generale, come cambia in quantità e qualità il rapporto di un uomo con il suo lavoro quando diventa padre? 

"Anzitutto - esordisce la sociologa e docente Marcolina Sguotti, collaboratrice di una società di formazione e consulenza aziendale - va detto che i padri stanno prendendo sempre più consapevolezza dell'importanza e della bellezza del loro compito: il ruolo che svolgono nella vita di un figlio è fondamentale e insostituibile. In questo contesto un padre più che 'quanto lavoro' dovrebbe chiedersi: quale lavoro e come lavoro? Un padre impegnato in un lavoro che ama e svolge con impegno e passione è una bellissima testimonianza di responsabilità sociale. Un padre che ha una vita ricca di significato, che si impegna per raggiungere i propri obiettivi, che sa fare dei sacrifici mantenendo il sorriso è quanto di più educativo ci possa essere per un figlio, perché il suo impegno ricambiato dalle soddisfazioni e da un conseguente senso di pienezza è il miglior antidoto alla depressione. L'impegno fa sentire bene perché si ha la consapevolezza di aver dato il meglio, rafforza l'autostima, dà senso alla nostra vita. Logico che uno non può fare tutto questo per un lavoro che non gli piace o non lo convince o che non corrisponde a quelle che sono le sue attitudini. Un padre che sa applicare questo su di sé, sarà oltretutto un osservatore  e un indagatore attento dei talenti e delle attitudini del figlio guidandolo alla scoperta della propria vocazione".

In questo senso come cambia il modo di concepire il lavoro di un single o di un papà?

"Ciò che fa la differenza è l'intenzione, perché se un individuo lavora 20 ore al giorno (il lavoro può diventare anche una dipendenza, in questo caso si parla anche di workholic) e lo fa non tanto per dare un futuro ai suoi figli, ma per avidità o perché è un modo per nascondere la sua incapacità di confrontarsi e di mettersi in gioco in una relazione profonda, allora il discorso cambia e i figli percepiranno questa ambiguità, questa incapacità di confronto. Per essere un buon papà bisogna essere una figura completa, un marito attento e amorevole, un lavoratore impegnato e rispettoso, un membro attivo e partecipe della comunità.".

Ma dopo tutti questi compiti, cosa resta alla fine alla famiglia?

"Al di là del tempo - che pure è importante, perché non ci può essere qualità se non c'è un minimo di quantità - ribadisco che ancora una volta è importante la scala dei valori e delle priorità: un figlio merita di essere al primo posto nel cuore e nella mente di un genitore. Se c'è questo, allora il figlio lo sentirà, e non avrà bisogno di ricorrere a mille trasgressioni per attirare l'attenzione del padre su di sé. Se c'è questo, allora il figlio sentirà di avere delle basi solide e profonde che gli daranno il coraggio di spiccare il volo. Se il figlio ha una figura paterna partecipe alla sua vita, coinvolta e coinvolgente, allora ci sono molte più possibilità che cresca armonioso e sicuro, capace di affrontare la vita con il sorriso e di saperla apprezzare nelle sue mille sfumature".

Non c'è il rischio che il padre che sia sopraffatto da questa molteplicità d'impegni e di fronti?

"Può reagire promuovendo lo spirito di squadra nel proprio nucleo familiare, la condivisione di obiettivi, l'importanza del riconoscimento e della valorizzazione di ciascun membro in base alle diverse capacità e alla diversa personalità. Recuperare la voglia di giocare insieme e uno spirito giocoso all'interno della famiglia permette anche di alleviare quell'insieme di oneri e doveri che i padri a volte vivono come un fardello quasi insostenibile. Non avere spirito di gioco porta a prendere le cose troppo seriamente, con il rischio di star male, sia fisicamente che mentalmente, per il timore di non riuscire a far fronte alle innumerevoli esigenze e richieste del sistema famiglia-lavoro-società".

In sintesi, come vivere il proprio ruolo di padre-lavoratore?

"Facendo capire ai figli che la passione è una capacità potente a disposizione dell'uomo, senza la quale non c'è vita, non c'è lavoro, non ci sono né comunicazioni né relazioni autentiche, ma solo una loro copia arida e sbiadita. Però, la passione va educata, gestita e orientata a un progetto di senso e ancorata ai propri valori, per non correre il rischio di essere in balia di emozioni che si agitano incessantemente a vuoto".   

 TESTIMONIANZA: UN LAVORO ESIGENTE, MA C'ERO NEI MOMENTI IMPORTANTI

Antonio Vescovi fa l'imprenditore e lavora con la moglie. "Quando è nato nostro figlio, che ora ha 28 anni e lavora con noi, eravamo all'inizio e nessuno dei due poteva rallentare l'impegno lavorativo - spiega - quindi abbiamo fatto ricorso alla baby sitter e alla nonna. Ma, nonostante il poco tempo che potevamo dedicargli, siamo stati dei buoni genitori. Di quando era piccolo ricordo che mi aspettava la sera per giocare con me alle costruzioni. E che quando stava male ho fatto chilometri passeggiando avanti e indietro con lui in braccio. E che anche quando facevamo tardi non lo lasciavamo mai dormire dalla nonna: magari a notte fonda ma me lo portavo a casa che dormiva infagottato in una coperta. Non sono mai stato assente nei momenti importanti, quando aveva bisogno di me. Quando ha dovuto superare le crisi dell'adolescenza, quando ha avuto un incidente in motorino... Stare vicino a un figlio non è questione di tempo, ma di saper comunicare sullo stesso piano".

 

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